Ricominciare Con Il Mental Coaching
Cosa ci ha lasciato in eredità la pandemia?
Il timore che possa ripresentarsi, cosa che molti esperti paventano; Il senso di fragilità; L’ansia; Il timore di non riuscire a governare gli eventi; La percezione di vivere in un mondo definitivamente diverso da quello conosciuto. Per ora fermiamoci qui e procediamo con ordine.
Timore che possa ripresentarsi
È un timore realistico? A sentire gli esperti, si direbbe di sì. Le misure di prevenzione e di controllo dell’infezione in Italia hanno funzionato molto bene, e al momento in cui scrivo, il tasso di contagio è molto basso. Ma non sappiamo cosa stia bollendo in pentola: il “liberi tutti” restituisce in parte al virus la capacità di diffondersi di nuovo, cosa che sapremo fra qualche tempo, quando sarà trascorso il periodo medio di incubazione. È assodato, però, che i nuovi contagi sono meno gravi, oltre che quantitativamente inferiori; e che i sanitari sanno curare meglio i pazienti. Insomma, ne sappiamo di più e corriamo meno rischi di ammalarci seriamente. Sotto questo profilo possiamo riprendere a fare quello che facevamo, anche se con prudenza. Chi scrive, però, non si occupa di epidemie e non può dirvi più di quanto ogni sera ascoltiamo in tv; piuttosto è interessato professionalmente agli aspetti salienti che residuano da questa esperienza, che di seguito elenca.
Senso di fragilità
Si tratta di un’emozione negativa che, a partire dal contagio, ci porta a considerarci indifesi e alla mercé di eventi esterni imprevisti e imprevedibili: una sorta di presa di coscienza della finitezza umana. Questa rappresentazione, nuova per gran parte delle persone, genera quello stato interno che tutti conosciamo e che si chiama ansia.
Ansia
L’ansia è uno stato psicofisico caratterizzato da modificazioni della normale fisiologia: accelerazione cardiaca, sudorazione, respirazione affannosa; e da sensazione di imminente pericolo, molto spesso senza che si possa individuarne il genere e la natura (ansia generalizzata). I sintomi fisiologici spesso mancano, lasciando il posto a quelli squisitamente psicologici. Una delle conseguenze dell’ansia è la perdita di lucidità e la ridotta capacità di problem solving. Si può sostenere, quindi, che l’ansia ha una capacità destrutturante sulla persona, tale da indurre quest’ultima a vivere dominata da un pensiero disturbante costante. Va da sé che uno stato ansioso comporta una riduzione dell’efficacia personale in termini di risultati.
Timore di non riuscire a governare gli eventi
Normalmente, noi “facciamo accadere le cose” secondo i nostri programmi e i nostri desideri. Chiariamo subito che questo è vero quando ci troviamo ad affrontare le problematiche quotidiane, di lavoro e relazionali, che dipendono soprattutto da noi stessi, ovvero dalle nostre decisioni e dai nostri agiti.
Definiamo “autoefficacia” la capacità di far accadere gli eventi desiderati. Questa “competenza” è variamente presente nelle persone; alcuni la posseggono in misura preponderante rispetto alla media: si tratta di soggetti vincenti, dotati di leadership, determinati e volitivi; altri ne posseggono dosi “omeopatiche”: quindi, sono influenzabili e insicuri.
Da cosa dipende tale variabilità?
Principalmente dall’autostima. Una forte autostima poggia su alcune credenze positive su di sé, come quella di essere competente; di godere della stima degli altri; di “essere ok”: “non vorrei essere qualcun altro, vorrei essere me”. L’autoefficacia induce, e preserva nel tempo nella persona, la consapevolezza di farcela, non per caso o per fortuna, sol che si tenti una intrapresa. Ovviamente, tutto questo si basa su prove confortanti dei successi ottenuti che rafforzano il circolo virtuoso autostima-autoefficacia.
Appare chiaro, a questo punto, il divario che divide i soggetti autoefficaci da quelli che non lo sono. I primi sono in grado di determinare il tipo di mondo in cui vogliono vivere (al netto di quei mutamenti effettivi dell’ambiente esterno, sociale e naturale, sui quali nessuno potrebbe intervenire, se non con la magìa); gli altri si smarriscono coltivando credenze disfunzionali su di sé (“…valgo poco; inutile tentare, non ce la faccio…) e isolandosi.
La percezione di vivere in un mondo definitivamente diverso da quello conosciuto
Valuto questo argomento particolarmente delicato ed importante. Infatti, il mutamento del contesto ambientale e delle abitudini quotidiane (si pensi all’obbligo di indossare la mascherina, di tenere a distanza il prossimo; si pensi alle file che si formano fuori dagli esercizi commerciali; e a tutto ciò che caratterizza la vita quotidiana in tempi di coronavirus) rappresentano una “perdita” per le persone, del tutto simile ad una separazione da un affetto o ad un lutto.
Si tratta di uno stato psicologico in grado di indurre, spesso, attacchi di panico. Il mondo abituale è rassicurante, in quanto prevedibile, felicemente “scontato”; di più, ordinato. Il mondo post pandemia è insicuro, sconosciuto, fuori controllo; “disordinato” nel senso di privo dell’ordine che conosciamo.
Le persone, che se ne accorgano o meno, si impegnano a mettere ordine nel loro mondo, perché con questo operano una forma di controllo rassicurante. Il controllo è la consapevolezza di chi siamo, di dove siamo, di cosa potrebbe accadere. La probabilità che l’analisi di tale contesto ci restituisca un risultato atteso, è molto alta. Tutto ciò che ci sfugge, al contrario, è ansiogeno, senza confini, fluido (“liquido”, per dirla con Baumann).
Per concludere, come l’autoefficacia può influenzare positivamente il ritorno alla normalità?
Innanzitutto, il soggetto autoefficace ha una forte consapevolezza di controllo, e questo di per sé risolve gran parte del problema; secondariamente, occorre distinguere la percezione dei fatti dalla realtà dei fatti.
È pur vero che ciò che percepiamo coincide con la realtà, quando ci manchi la capacità di distinguere una situazione immaginata, o temuta, da una situazione reale.
Il soggetto autoefficace, tuttavia, ha una lucidità e un controllo della situazione che gli conferiscono senso critico e grande capacità di problem solving. Ne consegue una rapida “elaborazione del lutto” e una efficace programmazione del futuro, condizioni per “normalizzare” un mondo che altri giudicano perduto per sempre.
L’autoefficacia si apprende; si incrementa; si auto rafforza e induce il benessere.
Il mental coaching è l‘esperienza di maggiore impatto positivo sulla costruzione dell’autoefficacia.
AUTORE: LUCIANO SPARATORE
©Riproduzione riservata